“L’intelligenza delle periferie, possibili rimedi per farla riemergere? Creare comunità urbana, come quella che esiste al centro delle città”

Editoriale
22 Mar 2022

di Pasquale Belfiore

docente ordinario di Progettazione architettonica e urbana all'Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”

L’intelligenza delle periferie. Nel 2016 si accende una nuova fiammata d’interesse sulle periferie urbane. Come accade con gli scrupoli morali che ci assalgono quando pensiamo di non aver fatto abbastanza per persone in evidente difficoltà e che si aspettano attenzione e cura da parte nostra. Tutti concentrati su centri storici e aree di insediamenti produttivi, abbiamo trascurato le parti più fragili dell’organismo urbano che però quando si ammalano seriamente mettono in crisi tutta la città: le frequenti cronache dalle banlieues parigine, per esemplificare. Alle periferie, «Limes. Rivista italiana di geopolitica» dedica un fascicolo monografico, il n.4/2016. Nello stesso anno, all’Archivio Centrale dello Stato a Roma, ad aprile si apre la mostra Cantiere periferie. Alla ricerca di una città normale promossa dall’attuale Ministero della Cultura e curata da chi scrive per l’Italia meridionale. 

Nella rivista, Lucio Caracciolo e Federico Petroni introducono un dibattito con Stefano Boeri, Paolo Desideri e Daniel Modigliani titolato, appunto, L’intelligenza delle periferie. C’è ma non appare. Possibili rimedi per farla riemergere: creare comunità urbana, come quella che esiste al centro delle città, costruire il “capitale sociale” di cui parla il sociologo americano Robert Putnam fondato sull’equilibrio tra i valori identitari di un gruppo, i legami, e i valori di scambio con altri gruppi presenti nell’area. La prevalenza dei primi genera il ghetto, quella dei secondi il contrasto. Equilibrio difficile da ottenere, ma è una strada obbligata da percorrere; le scorciatoie generano solo guai peggiori. Questo è il messaggio che viene da «Limes». Urbanistica e architettura sono presenti in dosi adeguate ma non prevalenti, tutto il resto è politica, economia, sociologia.

Nella Mostra romana, è ospitata invece una rassegna dei quartieri di edilizia residenziale pubblica che dagli inizi degli anni Sessanta in Italia hanno cominciato a costruire le periferie delle città così come oggi le vediamo, le subiamo, le tolleriamo, difficilmente le amiamo. Tentiamo però ogni tanto di redimerle in mille modi. Anche inventandoci un “rammendo” (Renzo Piano) tra esse e il centro città che tuttavia non ha sortito finora i risultati sperati. Messaggi chiari anche dall’antologia dei quartieri che hanno tentato di costruire in periferia, senza riuscirvi, “una città normale”: i grandi progetti, i mega quartieri, non hanno funzionato, meglio i piccoli e medi interventi che si sono infiltrati nelle preesistenze urbanistiche; lo “stile” architettonico adottato – sempre questione centrale e dirimente per gli architetti - non ha avuto alcuna influenza sulla riuscita o meno dei nuovi insediamenti. Sono risultati invece decisivi: la composizione sociale dei residenti, la gestione attenta e costante degli spazi e dell’edilizia pubblica e privata, la riqualificazione tecnologica, la sicurezza abitativa, il rapporto agevole, difficile o negato con i centri di riferimento. Esemplare e istruttivo a tal proposito un filmato presente in mostra. Un giornalista chiede ad una ragazza di esprimere un desiderio per rendere più vivibile e accogliente il quartiere in cui abita. Voglio più treni e mezzi anche fino a tarda ora per andare in centro, è stata la risposta. Aggiungendo poi con tono esplicitamente canzonatorio: non voglio un’aiuola con lampione e panchina per rendere più accogliente questo luogo, come fanno sempre gli architetti.

Ancora una volta, questione di “rammendo” urbano. Ne ha parlato anche Carlo Borgomeo in questo blog, in positiva consonanza con gli argomenti di «Limes». Il grande disastro delle politiche urbane delle metropoli è che sono spesso state appaltate unicamente a urbanisti e tecnici, ha scritto la rivista. L’intervento sulle periferie non può essere pensato “altrove” ma costruito “con” il territorio ed avendo i cittadini come partenariato, ha scritto Borgomeo.

Da un imprenditore napoletano nasce l’idea di sperimentare con Est(ra)Moenia un modello analogo a quello disegnato da «Limes» e dalla rassegna romana: una comunità di competenze e ruoli per costruire una comunità urbana in un’area strategica della città collocata tra il centro e la prima periferia occidentale. 

Intorno a questa scelta si potrebbe anche costruire abilmente un racconto di pionierismo, di sfide, di scommesse. In casi del genere, diffidare dei toni epici che nascondono sempre la mancanza di idee. Più utilmente, i promotori dell’iniziativa hanno adottato il linguaggio delle cose da fare – dove, chi, come, con quali risorse, per conseguire quale obiettivi – e chiedono alla politica d’essere presente con la sua forma più efficace, quella di un’amministrazione che programma, gestisce e controlla.  Poi, a seguire, essi si faranno carico d’una buona urbanistica e architettura, di molto più sociale con il terzo settore, della semina diffusa di cultura e attività economiche di base. Come la migliore contemporaneità reclama.

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